Essere plurilingui non significa solo padroneggiare più codici linguistici e saperli utilizzare in chiave comunicativa, ma anche sviluppare una serie di competenze cognitivo-emotive strettamente connesse: il problem-solving, un atteggiamento assertivo nell’esplorazione della realtà socio-relazionale, competenze empatiche particolarmente evolute e l’attualissima competenza di affrontare il cambiamento e la complessità della realtà odierna.
Essere plurilingui
“Conoscere più lingue significa avere più anime” dice il filosofo tedesco Johann Gottfried Herder, ma significa anche conoscere e incontrare dimensioni diverse della realtà, accedere a ampli e diversificati contesti socio-culturali. La lingua infatti porta con se la cultura del popolo che la parla, la storia degli uomini e delle donne che l’hanno parlata, vissuta, modificata, arricchita, ridefinita nel corso dei secoli. Si stima che nel modo siano parlati circa 6500/7000 idiomi (database Ethnologue) e che molti di questi siano a serio rischio di estinzione; circa 160 lingue oggi sono parlate da meno di 10 individui. In alcuni paesi sono parlate oltre 300 lingue ma solo una ristretta rosa di lingue viene definita come lingua ufficiale (in India, ad esempio, si parlano 427 lingue e le lingue ufficiali sono solo l’Hindi e l’Inglese) ed in alcuni casi ci si limita ad una sola lingua ufficialmente riconosciuta (negli Stati Uniti si parlano 311 lingue e in Australia 247 ma la lingua ufficiale è, per entrambi questi paesi, solo l’Inglese). Il mondo quindi offre continuamente contesti multilingui, cioè situazioni in cui si parlano lingue diverse, ma essere plurilingui si riferisce alla condizione del singolo individuo che comprende e produce comunicazioni in diversi codici linguistici in modo fluido, spontaneo ed efficce.
In particolare, il plurilinguismo fa riferimento alla capacità di una persona di esprimersi in diverse lingue e non dialetti, poiché questi fanno riferimento generalmente ad una costruzione della lingua simile a quella da cui derivano (grammatica, sintassi, lessico, etc…) . Si parla inoltre di plurilinguismo anche se non vi sono le medesime competenze di produzione e comprensione in ogni lingua, indicando questa situazione come plurilinguismo non bilanciato.
Chi vive quotidianamente quest’esperienza sa bene che la possibilità di esprimere i propri pensieri, descrivere il mondo e le situazioni, rendere partecipi gli altri dei propri vissuti attraverso una o l’altra lingua, fa riferimento non solo all’uso di un lessico diverso e della relativa sintassi ma si riferisce alla possibilità di accedere anche a tutto l’ambito delle espressioni idiomatiche: modi di dire, proverbi, detti, inflessioni diverse. Quindi si va ben oltre la traduzione letterale del concetto o della descrizione, ma parlando una lingua si accede al modo di pensare e rappresentare verbalmente il mondo nei suoi aspetti più sottili e pregnanti.
Comunque è evidente che anche nel caso in cui non si parli di plurilinguismo bilanciato (cioè la capacità di esprimersi in varie lingue con capacità ottime ) o di bilinguismo perfetto ( cioè la capacità di parlare due lingue con le medesime competenze) un plurilingue ha l’ovvia opportunità di comunicare meglio e con più individui in diverse situazioni, di accedere a diverse fonti per sviluppare le proprie conoscenze, gestire contatti interpersonali diretti senza l’intermediazione di traduttori. A tal proposito, nel libro bianco della Commissione europea, “Insegnare e apprendere”, pubblicato ormai nel lontano 1996, il plurilinguismo veniva già definito come “elemento di identità”, “caratteristica della cittadinanza europea” e “condizione essenziale per l’appartenenza alla società conoscitiva”, cioè la società del prossimo futuro, fondata su una continua acquisizione di nuove conoscenze in un’ottica di formazione permanente (M. Dodman 2013).
Comunque con un attenta e approfondita analisi condotta in differenti ambiti di ricerca, si va ben oltre riconoscendo all’individuo plurilingue di essere a contatto con le culture delle lingue che conosce. La diatriba che per anni ha impegnato gli psicologi rispetto all’interazione tra linguaggio e pensiero da Vjgotskij in poi (L.S. Vygotskij 1934, Job 1984, Fabbro 2004) riconosce oggi la reciprocità e l’interconnessione fra queste due componenti, che si intrecciano all’interno di un contesto culturale -o in alcuni casi anche multiculturale- che condiziona e determina lo sviluppo delle competenze dell’individuo sul piano cognitivo, comunicativo e relazionale. La cultura cui un individuo sente di appartenere diviene il contesto che determina le letture che del mondo un individuo sa e può dare. Quanto più ampia e plurima risulta essere la padronanza di processi culturali diversi tanto più ampia e complessa sarà la lettura dei contesti di vita che un individuo saprà fare, tanto più articolate le visioni del mondo alle quali potrà accedere.
Si riconosce perciò l’importanza della competenza cognitiva di saper accedere a modalità diverse per esprimere i propri pensieri e vissuti (Fabbro 2004, Balboni 2011, Daloisio 2011), che caratterizza il plurilingue, cioè il ‘decentramento cognitivo’, conosciuto dagli psicologi come ‘teoria della mente’, che fa riferimento alla capacità di mettersi da un punto di vista diverso dal proprio, saper vedere e considerare prospettive differenti. Chi si esprime in più lingue infatti acquisisce la capacità di valutare costantemente la competenza linguistica dell’interlocutore con cui parla una specifica lingua e quindi sa attivare un differente approccio basato sulle conoscenze dell’interlocutore.
Un altro interessante beneficio del bilinguismo sul piano cognitivo generale, e meno conosciuto, riguarda il controllo esecutivo sull’attenzione. La ricerca ha dimostrato che i plurilingui sono di solito avvantaggiati, rispetto ai coetanei monolingui, nel passaggio rapido da un compito ad un altro, e soprattutto dimostrano una maggior tenuta dell’attenzione selettiva, intesa come capacità di ignorare fattori interferenti per portare a termine uno specifico compito (Kess 1983, Fabbro 1996). Queste competenze cognitive portano con sé interessanti risvolti sul piano relazionale che vanno ad integrarsi con la personalità degli individui che si esprimono quotidianamente in lingue diverse e cioè la capacita di spostarsi fra differenti modi di pensare il mondo, quindi la possibilità entrare empaticamente in contatto con l’Altro mettendosi con maggior facilità nei suoi panni, dimostrando apertura, tolleranza e disponibilità verso il diverso da se. Le ricerche sociologiche dimostrano che gli individui plurilingui hanno solitamente minori difese e pregiudizi che invece contraddistinguono soprattutto gli individui che appartengono in modo rigido ad una sola cultura e si riconoscono in uno specifico gruppo spesso contrassegnato da uniformità e omologazione rese esplicite in modo formale proprio da un linguaggio comune.
Perché iniziare fin da piccoli?
Coerentemente con quanto sopra esplicitato quindi lo sviluppo di una competenza plurilingue fin dai primi anni di vita può svolgere un ruolo importante per aprire nuovi orizzonti socio-culturali, garantire la costruzione di conoscenze complesse e facilitare lo sviluppo del pensiero creativo e divergente per individuare soluzioni nuove alle sfide che la società pone.
Essere esposto a diversi codici linguistici fin dalla prima infanzia consente ai bambini di vivere direttamente l’esperienza della pluralità delle possibilità espressive che veicola l’introiezione di un concetto di “diversità possibili”, di una comunicazione funzionale seppure condotta con prosodia, sonorità, sintassi anche molto differenti fra loro. Stiamo parlando non di apprendimenti intenzionali, ma di apprendimenti funzionali derivati dall’esperienza diretta che sviluppano e successivamente attivano e riattivano “mappe cognitive” diverse, costruendo in tal modo architetture cerebrali più complesse di quelle derivate da un’esperienza vissuta i una lingua sola e fra loro maggiormente interconnesse.
Ecco dunque perché si parla dell’esperienza plurilingue come funzionale allo sviluppo cognitivo più generale e del pensiero divergente nello specifico. Pertanto, il processo di sperimentazione attiva dei bambini piccolissimi si estende dalla comunicazione verbale e non verbale anche alle diverse “strade” per affrontare i piccoli e grandi “problemi” che si incontrano nella quotidianità. Il decentramento cognitivo e l’attenzione selettiva che caratterizzano i processi messi in campo in maniera più significativa per i plurilingui divengono risorse interessanti per lo sviluppo cognitivo dei bambini che approdano in tal modo al pensiero simbolico e aumentano le proprie competenze attentive.
Pertanto il plurilinguismo incide trasversalmente in tutti i campi di apprendimento, specie quando l’esperienza viene fatta in età precoce, dal momento che la tipica “transmodalità” degli apprendimenti dei primi sei anni di vita consente esperienze olistiche vissute da un bambino “intero” attivamente immerso nei contesti di opportunità.
Il plurilinguismo porta con sé un’importante dimensione relazionale data dall’esposizione precoce all’alterità e alla diversità in chiave di risorsa. L’essere umano, infatti, è quell’animale sociale anticamente definito che le più recenti ricerche della psicologia evolutiva ci mostra come attivo interlocutore di processi dialogici di co-costruzione delle esperienze fin dai primi istanti di vita.
Il plurilinguismo, attraverso l’esposizione a codici linguistici diversi e allo spontaneo meccanismo dello shiftare dall’uno agli altri, consente al bambino di concepire che l’Altro può adattare il codice all’interlocutore, offrendo una prospettiva di naturale complessità della relazione umana ove è il reciproco impegno per la com-prensione a dettare la possibilità di un reale incontro.
Pertanto, i processi di decentramento ed empatia sono acquisiti nelle età successive con maggiore facilità da coloro che sono stati “abituati” fin dalla prima infanzia ad un’esperienza comunicativo-simbolica (perché la parola è sempre simbolo) di adattamento e reciprocità. E’ molto più semplice per i plurilingui adottare strategie relazionali assonanti con il bisogno dell’interlocutore (empatia) poiché, oltre al mezzo verbale, sarà la “lettura del bisogno” dell’Altro ad essere facilitata. Rispetto alle successive risposte empatiche, teniamo conto anche della possibilità per i plurilingui di vantare un maggiore “allenamento” del pensiero divergente e, di conseguenza, della possibilità di shiftare con maggiore facilità e naturalezza verso risposte più vicine alla sensibilità altrui.
Questo processo è particolarmente favorito se avviato in età precoce, in modo da sfruttare la maggior plasticità cerebrale, basata sull’alto tasso del fattore di crescita neuronale, che caratterizza il bambino e crea una particolare predisposizione all’acquisizione delle lingue. L’obiettivo non è solo quello di cogliere il momento più propizio all’apprendimento di più lingue, ma, di potenziare la plasticità cerebrale del bambino, esercitando un’influenza benefica per lo sviluppo dell’intelligenza in tutte le forme.
Tale processo di apprendimento naturale e spontaneo nelle prime fasi della vita diviene nelle fasi successive molto faticoso, difficoltoso e per alcuni aspetti della lingua addirittura impossibile.
Le finestre di apprendimento spontaneo relative agli aspetti prosodici, fonologici e grammaticali delle lingue infatti vengono a collocarsi proprio entro i 3 anni di vita.
Un accostamento precoce a lingue altre contribuisce inoltre allo sviluppo dei processi metalinguistici, processi che riguardano una progressiva riflessione sulla lingua e sui linguaggi, una capacità di analizzare la lingua in maniera intenzionale per trarne importanti apprendimenti e ragionamenti sul piano di astrazioni e processi che favoriscono nuove conoscenze.
Un elemento fondamentale della crescita di una competenza plurilingue è lo sviluppo consolidato delle abilità linguistiche ricettive prima di passare alla fase della produzione. All’inizio ciò porta a una maggiore enfasi sull’ascolto e progressivamente sulla lettura in modo da permettere all’apprendente di elaborare nella sua mente parole e strutture, significati e contenuti, senza il carico aggiuntivo creato dall’obbligo di parlare o scrivere subito. Lo scopo è di facilitare il processo naturale di costruzione creativa di interlingua e di interiorizzazione dei sistemi linguistici essenziale per potersene veramente appropriare.
Fin dalla prima infanzia il bambino acquista progressivamente familiarità con il mondo alfabetizzato attraverso la sua lingua madre ed è perfettamente in grado di portare avanti un processo di alfabetizzazione contemporaneamente in due o più lingue e inoltre trarne beneficio in termini di un potenziamento della sua intelligenza e delle sue competenze a tutto campo.
BIBLIOGRAFIA
- M. Dodman, Linguaggio e plurilinguismo- apprendimento, curricolo e competenze, Erikson ,2013
- P. Balboni, M. Daloiso, la lingua inglese nelle scuole primarie del Veneto, un’indagine sulla metodologia didattica, Edizioni Guerra 2011
- M. Daloiso la lingua straniera nella scuola dell’infanzia, fondamenti di glottodidattica, Guerra, 2011
- M. Daloiso, I fondamenti neuropsicologici dell’educazione liguistica, Cafoscarina Edizioni, 2009
- J. Kess, Introduzione alla psicolinguistica, Franco Angeli, 1983.
- F. Fabbro, Neuropedagogia delle lingue, Astrolabio, 2004
- F. Fabbro, il cervello bilingue. Neurolinguistica e poliglossia, Astrolabio, 1996
- R. Job, R. Rumialt, Linguaggio e pensiero, Il Mulino 1984